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“Solo quando un vitello si accosta alla propria madre, il latte comincia a fluire dalle mammelle, pronto, affinché il vitello lo beva senza sforzo”.
Bhagavad Gîtâ
Quando ho messo piede per la prima volta nella Scuola di Counseling, ignoravo quale sarebbe stato il percorso che mi attendeva.
La direttrice, nel nostro incontro era stata esaustiva rispondendo alle mie domande in modo completo, ma alla fine del nostro colloquio, era stato quell’“Ascolta che cosa ti dice il cuore” a convincermi, il mio cuore infatti sussurrava un “sì” chiaro e forte.
Il programma della Scuola sembrava suggerire un percorso ben pensato, figlio della compenetrazione di più discipline, una sorta di sincretismo di approcci, in grado di garantire l’insegnamento delle pratiche più efficaci.
Dall’idea che mi ero fatto il menu prevedeva portate di Psicosintesi, di PNL, di Filosofia religiosa orientale, di sviluppo delle abilità di Counseling, mettevo per ultimo il respiro, questo sconosciuto, ignorandone in modo totale la portata.
Lo consideravo anzi con un certo distacco divertito e scettico, non era sapore infatti quello che stavo sperimentando, era piuttosto un giudizio sulla pietanza offertami, basato unicamente sulla sensazione generata dal vapore degli effluvi.
Non ne sapevo nulla, e nemmeno mi interessava poi molto; ero fortemente motivato dal diventare esperto di me stesso attraverso lo studio della Psicologia, e desideroso di impadronirmi di tecniche che mi consentissero di aiutare con rapida efficacia chi, come me, avesse conosciuto la Palude Stigia della propria anima.
Il disagio e la rabbia che avevo provato fino ad allora, avevano infatti trovato lenimento e sfogo attraverso una seduta di Counseling energetico di una sola ora, e il mio cuore era tornato finalmente a “battere libertà”, infranta la gabbia di rancore che lo aveva costretto prigioniero sino a quel momento.
In una sola seduta, libero, consapevole, restituito alla forza e all’energia mentale della prima giovinezza, da non credere!
Ero tornato solo tre mesi più tardi a incontrare Franca, la Counselor, per “tirare i bulloni” che nel frattempo si erano nuovamente allentati.
Di lì l’incipit di una trasformazione che nel giro di tre anni mi avrebbe portato all’Accademia, passando attraverso letture messe sulla mia strada da quella che, dopo un anno di Accademico percorso appunto, mi sono abituato a chiamare l’intelligenza del Campo.
Avevo raggiunto nel frattempo delle mete che consideravo traguardi, avevo conosciuto sapori nuovi, e goduto di sorprese inattese, mi sentivo rigenerato e una meditazione “fai da te”che avevo portato nella mia quotidianità, mi aveva riempito di doni, regalando alla mia mente comprensioni, intuizioni, maggiore altezza spirituale e una voglia di dare che prima non mi abitava poi tanto, ero infatti attento soprattutto alla mia famiglia e a pochi altri.
I frutti offerti da quest’albero cresciuto con improvvisa rapidità, non erano maturati nel tempo, erano piuttosto comparsi all’improvviso e indossavano nomi ”caldi”: amore per me stesso, gentilezza, attenzione, premura, altruismo.
L’intuizione che avevo considerato più bella era legata al mio “nuovo nome”: Noi.
Questo era il dono più arricchente: mi ero accorto, o meglio avevo sentito, di essere gli altri in modo chiaro e vibrante… “Il mio nome è Noi” sarebbe diventato poi il titolo della mia tesi di laurea, il risultato più eclatante di questa trasformazione.
Così, giunto alla Scuola tardivamente, al secondo seminario di formazione, occupando un posto liberatosi all’ultimo momento con chirurgica sincronicità, chiamato a farmi conoscere dal gruppo di nuovi compagni, avevo presentato me stesso come una persona felice, innamorata della vita, serena dopo tanta rabbia, con Dio nel cuore, un Dio in me da sempre presente, ma finalmente amato, finalmente amato.
Mi sentivo piuttosto risolto, non sapevo che di lì a poco, nel corso della giornata, avrei respirato per la prima volta.
La mattinata era trascorsa acquisendo informazioni nuove atte alla comprensione di come funzionasse il “sistema essere umano”, nel primo pomeriggio invece era stato introdotto il tema del rebirthing, tematica totalmente nuova per me.
Ecco, attraverso le parole della docente, ero finalmente entrato in contatto con l’incognita dell’equazione, Mr. X, il Signor Respiro.
Fra le prime cose che avevo annotato fra gli appunti, vi era un’affermazione dai risvolti piuttosto importanti che mi incuriosiva molto:
“Il respiro” aveva asserito la docente, “è un mezzo eccezionale per eliminare l’affastellamento delle sofferenze.”
… niente niente!
Ero molto curioso e naturalmente molto ignorante; come poteva il respiro, cosa che praticavo dalla nascita, mettermi improvvisamente nelle condizioni di affrontare la mia sofferenza?!
L’esposizione a poco a poco cominciava fare affluire, secondo logica naturale, le prime risposte, portando un po’ di chiarezza là dove regnava un buio costellato da mille domande.
La prima cosa che mi aveva sorpreso era stato comprendere come il respiro fosse il veicolo delle nostre emozioni e di come ciascuna di esse ne esprimesse una qualità distinta e caratteristica.
“Ogni volta che abbiamo sofferto”, ci spiegava la relatrice, “abbiamo respirato di meno, semplicemente per soffrire di meno, per anestetizzarci… in che modo? Smettendo di respirare!”
Stavo imparando a riconoscere le strategie del mio corpo, ricordando in modo semplice che ogni volta che avevo provato ansia improvvisa, o un forte spavento, avevo inghiottito e trattenuto un rapido fiotto d’aria, ero entrato in apnea, così si dice.
Avevo imparato qualcosa di molto interessante: l’apnea produce anidride carbonica, il cui effetto è di abbassare il volume dell’emozione; io non lo sapevo, ma il mio corpo, sì.
“Fammi respirare”, “Mi togli il respiro”, “Un respiro di sollievo”, “Ho trattenuto il respiro”, tutte frasi fatte, ognuna delle quali sottolineava ora in modo molto chiaro la strettissima connessione tra emozioni e respiro.
Il respiro, ora sapevo, regola le emozioni.
“Se imparerete ad approcciarvi al respiro come chiave di risoluzione della vostra vita, imparerete a essere liberi”.
Bum… e come si fa?
“Portando consapevolezza nel respiro, impareremo a sciogliere le sofferenze del passato, consumando il nostro karma, e grazie a questa conoscenza riusciremo soprattutto a non aggiungere nuove sofferenze”.
Karma?!… avevo sorriso pensando: sono nel posto giusto.
“Un respiro lungo e costante fornisce le basi per stare bene. La cultura cui apparteniamo, da millenni condanna il piacere, purtroppo anche la gioia viene spesso considerata un eccesso le cui manifestazioni vanno contenute, controllate”.
La docente aveva proseguito definendo quest’atteggiamento con un neologismo illuminante, lo aveva apostrofato come “educastrante, un atteggiamento che fraziona il respiro, lo spezzetta e costruisce difficoltà che si affastellano a loro volta”.
Ahà e quindi…?
“Si comincia dando attenzione al proprio respiro:
- Respirare
- Rilassare
- Osservare
O si respira con il naso, o con la bocca, le due respirazioni non vanno mai mescolate, si chiama respiro circolare. Il corpo va rilassato, il respiro diventa circolare grazie al ritmo che inspirazione ed espirazione generano incontrandosi senza prevedere pausa”.
Dentro-fuori, dentro-fuori, pieno-vuoto, io-tu… chissà se ha senso?…
“Ogni sintomo che si presenterà, andrà accolto senza opporre resistenza, respira, rilassa, osserva. Tutto quel che capita durante la seduta va bene; pianto, riso, rabbia, ma anche estasi, sono emozioni che si presentano spesso. Tutto va bene, accogliamo tutto ciò che arriva, senza giudizio.
Fare la pace con le emozioni è la via per arrivare a sentire”.
Wow! Rabbia, rancore, senso di abbandono, rifiuto, indifferenza etc., dici poco, quanti trattati è possibile stipulare?
“La mente può partire con pensieri sciocchi, semplicemente vanno osservati e lasciati andare. Potrebbero affiorare ricordi, viveteli senza analizzare, le emozioni vanno vissute senza il filtro della mente”.
mmh… dura!
“Sappiate che non si può mai a respirare troppo.
Osa, travalica i limiti conosciuti, respira di più, di più”.
Cominciavo a capire.
La relatrice aveva proseguito la sua esposizione spiegando che esistono due modi di respirare in modo circolare: uno, più corretto, prevedeva un’azione attiva volontaria, l’inspirazione, e una passiva, l’espirazione, una sorta di lasciar andare, così come fa un palloncino che si sgonfia spontaneamente. Quando invece l’espirazione veniva controllata o forzata, il risultato non era ottimale.
“La respirazione circolare corretta produce iperossigenazione, quella meno corretta causa invece iperventilazione, un eccesso di anidride carbonica che provoca un fenomeno fisiologico chiamato tetania, una contrazione dei muscoli delle mani soprattutto, ma anche delle braccia o delle gambe. Possiamo accogliere con tranquillità la tetania, va accolta senza preoccupazione, è prevista e prevedibile, va tutto bene”.
Di lì a poco avremmo respirato formando delle coppie…
“Nello stare vicino a chi respira, nell’agire vicinanza, il rapporto è da Maestro a Maestro. L’aiuto va dato solo se richiesto, la presenza deve essere garantita quando cercata. Questo approccio tutela e afferma il potere di entrambi”.
Il prosieguo dell’esposizione ci aveva chiarito che cosa ci si aspettasse da chi assisteva il respirante; avevo così imparato che ogni più piccolo intervento avrebbe dovuto essere figlio di una centratura personale, generata da un atteggiamento auspicabilmente intriso di amorevolezza.
“Respiro, tocco, parola, sono i tre mezzi da usare con garbo amorevole per richiamare il nostro compagno alla presenza, qualora si avvertissero segni di addormentamento”.
Avremmo dovuto garantire attenzione, accompagnamento, risonanza, compartecipazione nell’atto respiratorio; avremmo dovuto fare sentire letteralmente quale fosse il giusto ritmo respiratorio qualora il respirante l’avesse perduto; avremmo respirato con la bocca, la mandibola rilassata e ben aperta pronunciando la vocale A nella fase di inspirazione, ed emettendo una E durante la fase di espirazione: HHHAAAAAA-HHEEE, dentro, fuori, inspirazione molto lunga e profonda, espirazione non forzata, più breve… più ossigeno niente tetania e attivazione ( ?… certi termini non mi erano ancora chiari ) più rapida.
“Quando una persona giunge a esprimere l’energia attraverso i movimenti del corpo, l’attenzione va posta nei confronti della preservazione della salute di chi respira. Il dolore fisico e la sofferenza sono energia che si muove, l’energia va lasciata esprimere, ma giunge sempre un momento in cui si intuisce che si è raggiunto l’abbastanza. Il rebirther si avvicina dunque e dice: ”Prova a trasportare nel respiro l’energia che stai esprimendo con il corpo. Prova, se riesci”.
………………………………………….
Accanto a me, disposte in cerchio, una quindicina di anime, tutti cercatori, tanti cuori, un solo battito, tanti occhi, uno lo sguardo, uno l’intento; l’anelito alla conoscenza di sé nutriva l’attenzione di quell’organismo che si era dato appuntamento fra le mura di questa Scuola.
Tutto attorno, libri, Tanka tibetani, oggetti religiosi, raffigurazioni sacre all’Oriente e all’Occidente, in una fusione sincretistica che trascendeva le religioni affermando Dio come verità unica.
Niente dogmi, niente libri sacri, solo amore.
…”Respiriamo?!”………….
…Quest’uomo grande, dallo sguardo buono, quasi liquido, mi è accanto, supino, mi è accanto e sorride, quest’anima.
La Musica è ora noi, fondendo il nostro sentire.
Il mio Maestro si onora della presenza del tuo… sussurro:
“Come ti senti, Federico?”
Gli occhi si chiudono dolcemente per subito riaprirsi in una silente risposta… pronto…
L’aria si è fatta sacra, il respiro scandito di tutti, si è fatto uno, è il gruppo che respira, lo fa con consapevolezza; uno è il corpo sostenuto da questa energia, lo si percepisce, il nostro corpo vivo si nutre, si nutre e annusa la sacralità intuita: la Musica, il respiro che suggerisce l’essenza di se stesso, il suolo che ci sostiene tutti, connettendoci, isole unite dal fondo, alberi dalle radici intrecciate.
Il respiro è ampio, il corpo di Federico svela ritmicamente la tangibilità vitale del “vuoto” che ci circonda, riempiendosi per poi subito svuotarsi, e ancora e ancora, e io con lui, e lui con me.
Ampio il petto, generoso il fiotto di vita chiamato, e lasciato poi andare.
Che cos’è che chiamiamo?
Che cos’è che si muove ora sul volto di quest’uomo?
Che cos’è questo qualcosa che ne sta solleticando il sentire?… Le sopracciglia, le sopracciglia si sono contratte, leggermente, sembrano pretendere attenzione, il corpo è mosso.
Che cos’è questa preoccupazione?
Le arcate si distendono baciate forse da una comprensione, per poi rapidamente tornare a contrarsi.
Che succede?
Che cosa stai cercando?
Da cosa sei cercato?
Ampio il petto si solleva, il ritmo ora cambia, si fa sospeso, interroga l’aria che lo muove… mi avvicino dopo un po’, esitante, HHAAAAAAA-HHEEE, il ritmo riprende.
Il calice è pieno.
Sacra, rigando lenta il disegno di se stessa, una lacrima porta alla luce l’emozione provata dal Maestro che indaga la propria essenza.
Toccato, scorro silente fra le pieghe di quest’anima che riceve e dà, dà e riceve, attorno qualcuno piange forte, vinto dal proprio sentire.
Mio Dio, ma che succede, che succede?
Angeli lenti, si muovono fra noi, con il garbo di chi ama, toccano, rincuorano, sostengono anche chi sostiene.
La Musica danza, tessendo l’unità del nostro cuore collettivo.
Non sei solo Federico… sfioro.
Che dono quella mano che cerca la mia, portandola a sposare il cuore che rintocca.
Nella più intima vicinanza fisica possibile la mia mano riposa con gratitudine sotto alla mano grande di Federico, aderendo al ritmo della vita che batte in lui.
Uno.
Gioia è sentirsi Uno.
Non-tempo, non-spazio, una bolla di pensiero, un’esperienza… un… un…………………….
Due laghi calmi, bagnati dal Mare, tornano a offrire il proprio sguardo, tuffando la propria comprensione nello specchio pronto dei miei.
… il respiro… il respiro…
……………………………………..
Azzurri come il cielo i materassini su cui siamo stesi, terra di Siena la moquette su cui poggiano.
Cielo e Terra e noi lì, a cercare di suggere il ricordo di noi stessi, cercando di essere sintesi nel farci ponte.
Quasi religiosamente ora mi stendo sulla schiena, la testa su di un cuscino, avvolto in una coperta, bozzolo ora, crisalide di me stesso. Le braccia abbandonate lungo i fianchi, i palmi delle mani rivolte verso l’alto, arreso, disponibile, pienamente, il mio primo respiro.
Ancora Musica ora, noi tutti Musica ancora, tessuti dalla magia che avviene.
Ancora lo sguardo buono, premuroso e rassicurante, non sarò solo.
Bocca aperta, mandibola rilassata, respira, rilassa, osserva.
Respira, di più, HHAAA-HHEE, HHAAAAAAAAA-HHEEEE, pieno, vuoto, pieno-vuoto, oltremodo pieno, vuoto, respiro e respiro, respiro ancora, di più, posso, di più, osa, di più di più.
Trasportato un po’ più in alto, respirando quasi mi stacco, vivendo le bollicine che sento affacciarsi in me; inspiro a pieni polmoni e butto fuori.
Tutto il mio corpo è percorso da una sorta di massaggio, si muove e torna, accoglie e lascia, si fa ampio e cede, si impenna, cade e, vinto, rintuzza, poi in un inchino cede ancora e ancora e ancora………………………
Che cos’è?
… che cos’è, questa voce, che cosa?…
Cosa langue?
Che cos’è questo movimento che sento?
Il mio addome, le mie spalle, il mio volto, tutto in me si contrae, ritraendosi all’improvviso.
Ecco l’onda, accompagnata da un fiotto di risucchio, tutto eccede, sopravanza, spinge e sbotta, tutto è troppo ora.
Che cos’è questo marasma emotivo che all’improvviso urge in me, pretendendo di urlare, di urlare, di urlare?
Che cos’è questo avvampare, questa rabbia feroce che sento?
Questo è troppo, è troppo, nonvogliononvoglio, stà giù, stà giù, via via, sta giù!
Non posso, non voglio; inarcato dal rifiuto, teso nel rifiuto, sempre più contratto, in apnea ora, urlando non visto, non sentito, linguainfuori, il mio no, il mio noooo, espirando forte tutto il possibile sino al vuoto pneumatico in me, di più, fuori fuori di più di più di più, fino a una stasi impossibile, fino al successivo necessario impellente fiotto di vita, investito da un ritorno fatto di ricordi, sensazioni, tumulti; un ritorno greve di cose negate, di strappi e sussulti, intriso di paura, smarrimento, solitudine, abbandono, cax.. cos’è? Che cosa vuoiiiiiiiii?
La bocca dilatata in un urlo senza suono, teso, irreale, figlio indesiderato che pretende se stesso, sino a lacerare il diaframma esplodendo, nella mia resa.
Il mio dolore negato.
In un bollore incontenibile faccia a faccia con il buio, strizzando gli occhi della mia anima in un tuffo nel delirio, nella follia, nel gelo, nella notte di me stesso, piangendo lacrime negate, finalmente permettendo, ora, il turbinio tagliente di mille e mille cocci alzatisi in me vorticando il loro “GUARDACI”!
Non potrò mai dimenticare lo sgomento attonito generato dal sentirmi letteralmente digerire da una folla urlante di emozioni contrastanti di accusa, di perdono, di rabbia, di dolore e di comprensione, e poi ancora rabbia e ancora perdono e permesso infine, sino a naufragare lentamente sull’isola di me stesso, finalmente fuori dai flutti, dai vortici, dagli impenni e dai tonfi disastrosi, gettato infine, stremato, ma salvo, vivo e forse un po’ più forte, sul bagnasciuga di me stesso, accarezzato ora, cullato ora dalle onde, onda io stesso, e mare, io stesso.
Il mio respiro, divenuto consapevole, si era fatto ampio, gonfiandosi e infrangendosi con ritmo eterno e necessario, in un gioco simbolico e reale, dove si alternavano senza soluzione di continuità Vita e Morte, sostenute entrambe da un Oceano il cui canto affermava a piena voce:
“Esiste solo la Vita”.
Ero il Mare e l’onda, l’Assoluto e il relativo, l’Intero e la parte, ero in estasi.
Accoccolato infine su di un fianco, vegliato sempre dal mio Maestro amico, grato, in pace dormivo vigile il sonno della comprensione.
Non lo dimenticherò mai, mai lo dimenticherò, lo ricorderò per sempre.
…il Respiro, il Respiro…..
Rebirthing Tecniche per integrare corpo mente e spirito Jim Leonard, Phil Laut
Intelligenza emotiva e respiro Alessandro D’Orlando
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Alberto Pomari – Counselor Integrale a indirizzo Olistico
Per un appuntamento chiamami al 339 65 64 011
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