Dopo un mese di passi spesi con direzione, per l’ultimo giorno, quello dell’arrivo, il trentunesimo, mi ero prefissato di fare una tappa semplice, per arrivare comodamente a Santiago, in tempo per la messa e per l’atteso rito del botafumèiro, il grande incensiere della cattedrale di Santiago de Compostela,
20 km, non di più!
Ero uscito dall’ostello verso le cinque del mattino, solitario come sempre.
Il gruppetto di sei sette che aveva messo i piedi fuori dal letto con me, si era subitaneamente indirizzato verso.
Io avevo svoltato invece a sinistra, per fare colazione.
Dieci minuti più tardi, sazio, a mia volta avevo orientato il mio cuore e i miei passi, verso la meta finale.
In settembre in Spagna, il buio permane fino alle otto del mattino, così, torcia in fronte, mi ero avviato alla ricerca della freccia gialla, l’amica di chi vuole raggiungere Santiago a piedi.
Incamminatomi con la consueta fiducia di chi sa che la traccia gialla che indica la direzione, esiste, dopo qualche centinaio di passi, mi ero sorpreso a cercare il segno, senza trovarlo.
Avanti, indietro, a destra, destra ancora, poi indietro e in tondo, a sinistra stavolta e poi ancora avanti, caparbio, poi fermo all’improvviso, interdetto, girando su me stesso, perplesso.
Camminavo in lungo, in largo e in tondo, ormai da venti minuti, senza trovare traccia della flecha amarilla. Ero davvero senza parole.
Tornato sui miei passi, cosa che un Pellegrino non fa mai volentieri, impossibilitato a chiedere informazioni a qualcuno, perchè quel qualcuno latitava, a pochi passi dall’ostello, qualcosa mi aveva spinto a guardare in alto, proprio là dove la freccia gialla campeggiava, non vista, in attesa di essere scoperta.
C’è una gioia particolare nel riprendere a camminare sapendo di avere direzione, Tu sai!
Così, di buona lena, con il passo lungo che mi accompagna dal mio sempre, allenato da un mese alla giusta direzione, avevo imboccato la via maestra, felice delle mie falcate certe.
Il limitare del paesino si era fatto esperienza in me dopo davvero poche centinaia di passi e una lingua lunga d’asfalto nero, si era srotolata davanti ai miei occhi sino a salire, dolce, con costanza.
Dopo appena una ventina di minuti, quasi improvvisa, una parete di alberi si era erta, svettante, a segnalare l’inizio della foresta che l’ennesima freccia gialla, indicava come la via da perseguire per raggiungere ciò che mi stava a cuore.
Nel buio silenzioso ferito dalla mia luce, entro.
Pochi passi, davvero pochi: un bivio!
A sinistra una bella stradina, bianca, di quelle d’un tempo, ben battuta e di una facilità invitante e, a destra, un tratturo aspro di salita, leggera ma certa!
A sinistra o a destra?…
Nessuna freccia!
Tentenno un po’, ancora cerco, indago, in alto, in basso, tutt’attorno. Decido: vado a destra!
Cerco indizi e poco più in là ne trovo uno, grande, sotto forma di spruzzo giallo sulla corteccia maestosa di un albero maestro, ora bussola del mio cuore.
Così salgo e un centinaio di respiri più in su, dall’alto contemplo due Pellegrini giunti al bivio anch’essi, dubbiosi, con la mappa ben distesa, piana sulle loro mani, a interrogare la tridimensionalità del mondo.
Dopo mezz’ora di cammino, nessuno dietro di me, nessuno.
Quella foresta è strana, vagamente cupa ai miei occhi. Pochi giorni prima la notizia di un Pellegrino aggredito e trovato morto in un cassonetto.
Di notte, quando si è soli in un bosco, le ombre hanno voce. Avevo paura.
Un’ora di passi!
Ampia, imprevista, una radura si apre all’improvviso. Con rumore di sterpi, ne raggiungo il centro, lento, con una domanda che in me risuona, prima sussurro, poi voce chiara:
“Albi, è questa la via?”…
– …”No!”…
Sul Cammino ho imparato ad ascoltare le risposte figliate dal mio sentire, una bussola in cui avevo imparato, per esperienza vissuta, a riporre fiducia.
“E’ questa la via giusta?”
– “No!”…
Piantando lo sguardo nell’occhio blu e nero, disegnato lassù in cielo dalle chiome degli altofusti, con un sospiro forteprofondo, avevo chiesto alla mappa della mia mente, di cambiare direzione, orientandosi in accordo con la verità avvertita dalla bussola del mio cuore:
“Si torna!”
Tornare sui propri passi!
Un Pellegrino lo sa, si fa fatica!
Avrò fatto bene?
E se mi sbaglio?
Sulla strada del ritorno nessun incontro, forse ho sbagliato davvero…
Giunto al bivio, un’ora più tardi, mi inoltro sulla stradina bianca ben battuta, quindici metri più in là, il cippo: 20 km a Santiago.
Al kilometro zero, avevo già due ore di cammino alle spalle.
Avevo le ali ai piedi adesso
Avevo un sorriso largo stampato sul volto e le lacrime, le perfette carezze degli angeli, scendevano rigandomelo con lentezza innamorata.
Avevo ritrovato direzione!
Stava albeggiando lentamente, lassù, al di sopra della ancora buia parete boscosa.
Con le pareti sue ancora vestite a notte, ferite da finestre di luce gialla, un punto di ristoro, accoglieva il gruppo di cui prima.
Sfilando veloce avanti, da solo, davanti, ora.
Stavo camminando in salita adesso, su sassi sconnessi, piangendo, piangendo, piangendo una tristezza antica, una rabbia inespressa finalmente ricomposta in un cammino finalmente chiaro, finalmente disteso.
Dentro di me una voce, uno svelarsi chiaroudente, che mi suggeriva di avere appena ripercorso simbolicamente la strada di una vita intera, la mia, spesa nella fatica di avere sempre scelto tratturi, e non strade maestre.
Tratturi e non strade maestre!
Lo stavo udendo chiaramente, dentro di me, con mente chiara:
“Perdersi nella vita, è il sale che rende saporito e gustoso, il piatto supremamente perfetto del ritrovarsi.”
All’inizio del Cammino, di questo cammino, avevo incontrato piccole piramidi di sassi, messe lì a segnalare l’esattezza dei passi spesi verso, e la presenza testimoniata di chi li aveva spesi prima di me.
Avevo tentato la vetta ponendo la mia pietra sulla sommità, rovinandone l’equilibrio, ero agli inizi.
Pensieri più rotondi, avevano affinato il mio sentire, sino a farmi scegliere di porre alla base delle piramidi, pietre forti, che non cadevano mai, rafforzando la base, una base d’amore non visto, senza la quale la vetta è impossibile.
Abitando un mondo, dentro e fuori, ancora sospeso tra la notte e il giorno, salivo il sentiero, assaggiando il sale del mio sudore e e quello più dolce delle mie lacrime. All’improvviso, una piramide piccola, graziosa di altrettanto piccole pietre.
All’inizio di questa piccola grande impresa, avevo chiesto di sentire il mio cuore, di più, di più, di più, un cuore offeso talvolta e comunque ignorato da una mente forte e padrona, che nel tempo mi aveva reso schiavo, soggiogato da credenze limitanti, attaccato e indebolito da feroci giudizi, che io stesso davo su me stesso.
“Perdersi nella vita, è il sale che rende saporito e gustoso, il piatto supremamente perfetto del ritrovarsi.”
“Perdersi nella vita, è il sale che rende saporito e gustoso, il piatto supremamente perfetto del ritrovarsi.”
“Perdersi nella vita, è il sale che rende saporito e gustoso, il piatto supremamente perfetto del ritrovarsi.”
Compassione.
Chi può davvero dire di sentirsi vicino al prossimo suo, in assenza di compassione per se stesso?
Ieratica, una piccola pietra, confusa tra mille, la mia, attendeva il mio gesto di scelta.
Piccola.
Lento, in un calibrato volo lento, in un disegno di gesti puliti e sostenuti dalle tante pietre di base, in un tocco, la mia piccola pietra lenta, lassù!
Camminare, con direzione, è il segreto di una vita spesa con maestria.
Camminare senza direzione, sapendo che questo errare, è la condizione necessaria alla grazia leggera del ritrovarsi, sino a ricreare senso e quindi direzione appunto, è la fonte della maestria maggiore: quella che ci permette di perdonarci, di accoglierci, di smettere di giudicarci, di ferirci, di maledirci, di smettere, finalmente, di smettere di dire male di Noi.
Non importa il raggiungere le Santiago di questa grande e misteriosa esperienza che è vivere il dono di possedere un corpo, non c’è niente che vada raggiunto davvero.
Non c’è niente da raggiungere se non la gioia immensa di camminare, di camminare e di camminare ancora, permettendosi errori sacri, sacri perchè necessari a che Noi si possa giungere al piacere ineffabile, di godere del solo fatto di spendere i nostri passi, qui, in questo eterno Adesso, che scorre in Se stesso.
Ecco la freccia gialla, di tutti noi Pellegrini, tutti: godere il dono della vita, il dono di incontrarci, sentendoci finalmente uniti, adesi l’uno all’altro senza paura, grazie a una profonda comprensione: che la Vita è Te e Me, e che non esiste separazione, ma solo esperienza di unità possibile, fuori, ma soprattutto dentro, in Me, all’interno del gioco cosmico permesso dagli infiniti miei mondi e dai Tuoi.
Alberto Pomari – Counselor e Alpinista interiore
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