“Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte.” Edgar Allan Poe
Accade spesso che le persone provino disagio a causa di sofferenze legate alla relazione di coppia.
“Lui non mi ama come vorrei”.
“Lei è troppo esigente”.
“Ho paura di essere tradito”.
“Lui mi ama moltissimo, ma io non lo amo più”.
Quando le persone portano il tema della sofferenza d’amore, faccio sempre fare il percorso di conoscenza etimologica della parola “amore”, così come visto nell’introduzione.
Quando le persone giungono a nuova conoscenza di sé, comprendendo di essere la Vita Che Non Muore Mai; la conoscenza per unione, che è identità esperibile tra sé e Amore, inizia ad affiorare anche a livello logico-razionale.
Trascesa, almeno in parte, la falsa identità del nome, inteso ora come no-Me, comincia a farsi strada la comprensione di non essere solo il proprio nome, il proprio lavoro, le proprie passioni, gli oggetti posseduti.
La personalità comincia a essere riconoscibile come Ego, una falsa identità protesa nel fuori e dipendente dall’approvazione altrui. L’Ego, dico loro, è come una C, disperatamente in cerca di un’altra C con cui unirsi, nella speranza di poter chiudere il cerchio, sentendo finalmente così un senso di unità, di completezza e di armonia. L’Ego chiama tutto questo “amore”.
Lui, il Principe senza potere, se ne va mendico per il mondo, con un cordone ombelicale lacerato e sanguinante, sempre in cerca di un cuore altrui cui attaccarsi, per ricevere energia.
E, come un mendicante, allunga la mano ossuta e tremula, piangendo povertà:
“Dammi un po’ d’amore.”
Zoppo di Sé, saltella su di una gamba sola, instabile e affaticato, lento e maledicente, bramoso di riposo.
Due zoppi stanchi s’incontrano piacendosi, si avvicinano e la coppia accade.
Con sollievo di entrambi, uno sulla gamba destra, l’altra su quella sinistra, sostenendosi vicendevolmente, trovano stabilità nuova restando abbracciati, felici della somma, contenti di avere, insieme, due gambe. Le due C sono finalmente cerchio, l’amore è bellissimo, allacciati nell’afflato d’unione, felici, corrono al meglio della loro possibilità e saltellando ciascuno sul proprio arto zompettano verso il loro futuro felice.
Accade.
Accade anche che, solidali nell’abbraccio, consunta la fiamma iniziale, accade anche che uno dei due inciampi e che, nel tentativo di ritrovare equilibrio, cadendo, rimanga attaccato al partner, facendolo rovinare a terra con sé.
Coinvolgo sempre in un piccolo teatrino di drammatizzazione i miei clienti, mettendoli al mio fianco, ed entrambi, su mio suggerimento, ritiriamo da terra una gamba, come fenicotteri a riposo.
Sorpresi e coinvolti fisicamente, ridono, abitando un gioco inatteso che, i più attenti, cominciano già a riconoscere come fonte di rivelazione.
Quando, dopo aver sperimentato il disagio di rimanere per un po’ su di una gamba, quando, dopo aver provato il sollievo di unire le nostre fatiche abbracciandoci, quando saltelliamo verso il nostro futuro di felicità e quando infine, avvertendoli, mi lascio cadere verso terra, trascinandoli con garbo fino a far perdere loro l’equilibrio, quando tutto questo diviene uno scritto nel cervello di entrambi, mi rialzo e, tornati sul posto da cui siamo partiti, chiedo loro di ritirare nuovamente la gamba da terra.
Subito dopo chiedo loro di posarla, invitandoli a camminare serenamente insieme verso il nostro futuro felice.
Di lì a due o tre passi cado, chi mi accompagna si ferma, emotivamente sorpreso, partecipe e tuttavia in piedi, sulle sue gambe.
Chiedo aiuto, lo ricevo, e tutti e due, solidi, riprendiamo un facile e autonomo cammino comune verso la stessa direzione.
Crescere è imparare a stare sulle proprie gambe.
Tratto dal Capitolo Il Re è un Mago – GURU DI ME STESSO Manuale di Alpinismo interiore – Anima Edizioni Milano
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