LA TUA FORZA INIZIA CON LA SCELTA DI CHIEDERE AIUTO A UN ESPERTO ACCREDITATO!
IO SONO IL COUNSELOR CHE HA SCRITTO GURU DI ME STESSO – MANUALE DI ALPINISMO INTERIORE
RICORDA: IL PRIMO PASSO NON TI PORTA DOVE VUOI MA TI TOGLIE DA DOVE SEI!
CHIAMAMI SUBITO, PRIMA CHE SIA DAVVERO TROPPO TARDI
PROCRASTINARE AUMENTA LA SOFFERENZA!
ESERCIZIO: per sciogliere l’ansia
- siedi comodamente su di una poltrona o su una seggiola provvista di schienale
- chiudi gli occhi
- tieni la schiena e la testa bene eretti
- rilassa le spalle, permettendo che cadano e appoggia le mani sulle cosce
- avverti il contatto dei piedi con il pavimento ed esercita una delicata pressione sulla pianta dei piedi stessi per 3-4 secondi
- ascolta ora il tuo respiro, sii presente per un minuto al respiro che entra e al respiro che esce… accogli le tue percezioni senza giudicarle, lascia che i pensieri e le sensazioni fisiche fluiscano liberamente
- ora respira in modo più ampio, stai attento a non esagerare. Le inspirazioni devono essere solo leggermente più ampie delle precedenti
- conta, mentalmente, 20 respiri ampi
- ora sposta la tua attenzione sull’espirazione, solo sull’espirazione
- ascolta cosa accade al tuo corpo quando rilasci l’aria presente nei polmoni
- come si muovono le spalle durante l’espirazione?
- cosa avverti lungo la schiena quando espiri?
- quali sensazioni percepisci nel ventre quando butti fuori l’aria?
- quali altre sensazioni percepisci nel corpo?
- concediti alcuni secondi ancora di presenza e osservazione di ciò che c’è, prendi infine tre respiri lenti e profondi e, con i tuoi tempi, riapri gli occhi…
CHE COS’E’ IL COUNSELING
La parola inglese counseling, deriva dal latino “consulo, consùlere” il cui significato è quello di interrogare, domandare, riflettere e, in modo più specifico e approfondito, riguarda l’atto di consultarsi con qualcuno su qualcosa, giungendo quindi a una successiva e conseguente decisione. Consùlere in senso più ampio assume anche il significato di venire in aiuto, provvedere a qualcuno, aver cura e, in ultima analisi, prendersi cura di qualcuno. Esistono tuttavia molte definizioni della parola counseling, alcune di queste sono fuorvianti e talvolta totalmente errate; alcuni dizionari infatti tendono a porre l’accento sulla parola “consiglio”, facendo di conseguenza supporre che il counselor sia una figura professionale che basa il proprio lavoro sull’elargire suggerimenti sul come comportarsi; il compito che si prefigge il counseling, è esattamente l’opposto.
Il counselor è la figura professionale che, grazie a un percorso di crescita personale, di autoconsapevolezza e di formazione attraverso lo studio e l’esperienza, è in grado di ascoltare i problemi di una persona in modo empatico, genuino, accogliente e non giudicante. Si ha una relazione di counseling quando una persona in forte difficoltà sceglie di farsi accompagnare da un’altra, nel tentativo di imparare a gestire in modo più efficace le proprie dinamiche psicologiche disfunzionali.
Molto spesso i clienti che si presentano per il counseling nutrono l’idea che il counselor dirà loro che cosa fare, ma in realtà lo scopo della relazione di counseling è quello di aiutare il cliente ad avere una comprensione più approfondita e dettagliata delle situazioni che hanno generato il disagio, con l’obiettivo di fare emergere nel tempo la forza interiore in grado di generare dei cambiamenti. Lo scopo fondamentale del counseling è quindi individuare e promuovere le risorse del cliente favorendone l’autonomia.
Spesso il cliente al primo incontro non sa cosa aspettarsi e non sa cosa fare, sta al counselor incoraggiare il cliente a parlare di sé, delle proprie emozioni, anche quelle negative se vuole, e di ciò che lo sta mettendo in difficoltà.
Abilità di comunicazione e sensibilità personale sono le doti che occorrono al counselor per fare fronte con naturalezza all’incipit della relazione d’aiuto che normalmente si esplica attraverso 3 fasi:
1) Esplorazione e chiarificazione dei problemi presenti.
2) Definizione degli obiettivi e sviluppo della capacità di comprendersi e di conoscere il proprio funzionamento psicologico interiore.
3) Definizione e attuazione di strategie comportamentali volte a conseguire i risultati desiderati.
Durante il percorso di crescita comune, il counselor instaura un rapporto di tipo paritario, ben lontano da quello ad approccio terapeutico medico/paziente, tuttavia il cliente nutre l’aspettativa che il professionista che ha contattato possieda strumenti, conoscenze ed esperienze che non riconosce a se stesso. È importante che il counselor comprenda pienamente la situazione, onde evitare eventuali abusi di potere. È palese altresì che il rapporto che si viene a creare non può che far pendere la bilancia dalla parte del counselor, riconosciuto come depositario di maggiore consapevolezza e presenza. Il tema della presenza è fondamentale per un buon professionista, poiché offre la centratura necessaria affinché tutto possa svolgersi nell’alveo del rispetto e della promozione della crescita del cliente. Nello specifico l’approccio umanistico si fonda sul presupposto che il cliente conosca intuitivamente le soluzioni a ciascuno dei suoi problemi, l’obiettivo del counselor che aderisce a questo modello, diviene quindi facilitare l’integrazione e l’autorealizzazione della persona di cui si sta prendendo cura, favorendo lo sviluppo della capacità del cliente di attingere alle proprie personali risorse.
Anche se una delle regole fondamentali del counseling è evitare di dare consigli e di fornire soluzioni, il counselor è a ogni modo chiamato a influenzare il cliente incoraggiandolo a orientare la sua attenzione sulle questioni che lo disturbano. Come insegna la PNL, non esistono pensieri neutri e nemmeno comunicazioni neutre, tutti noi comunichiamo con lo scopo preciso di far cambiare il pensiero all’altro, con l’intento quindi di modificarne il comportamento, diventa così fondamentale per il counselor agire in modo consapevole mantenendo grazie alla propria centratura, una presenza tale da garantire pulizia di intenti, congruenza e una comunicazione, motivante ed ecologica (è ecologico ciò fa bene a te, fa bene a me, e non fa male a nessuno).
Accade che il cliente chieda consigli in qualità di esperto al professionista con cui si sta relazionando, capita di solito quando il cliente non ha ancora avuto modo di familiarizzare con la vera natura del rapporto che, nel Counseling Olistico Integrale, è da Maestro a Maestro.
In questi casi diventa opportuno stimolare il cliente a partecipare in modo ancora più attivo all’esplorazione personale delle soluzioni possibili, coinvolgendolo nel processo del counseling in modo ancor più responsabile. Il tema della respons-abilità, intesa come abilità di risposta alle richieste dell’ambiente, suggerita da quell’habilitas respondenti di latina memoria, possiede un’attinenza stretta con la regola di evitare di dare consigli nel counseling. Un consiglio sbagliato infatti indurrebbe il cliente a deresponsabilizzare se stesso, indicando nell’eventuale dispensatore di suggerimenti la causa del suo aver mancato il bersaglio. Molto spesso poi le persone vogliono più semplicemente essere ascoltate e comprese. Dare consigli promuove inoltre la disparità a discapito di quell’equità che è vitale nella relazione di counseling; consigliare è inoltre comunicare a una via, senza interattività quindi. Quando un cliente chiede per esempio “Che cosa pensi che dovrei fare?”, la cosa più opportuna è invitarlo a esaminare in modo più approfondito i sentimenti che prova, in modo da fare emergere in lui le varie soluzioni, per poi aiutarlo a valutare quale possa essere la strategia più efficace, quella più facilmente realizzabile. Talvolta i clienti chiedono consigli per sottrarsi dal processo, spesso doloroso, dell’autoesplorazione.
Il counseling richiede molte abilità, il dialogo presuppone l’ascolto e non c’è dialogo senza un ascolto attivo, impegnato a comprendere profondamente quello che l’altro ci vuole comunicare. “Per ascolto non intendiamo il semplice tacere per permettere all’altro di parlare, un “fare a turno per prendere la parola”. Non si ascolta con le orecchie ma con la mente e con il cuore. L’ascolto è un atto volontario che oltrepassa la parola: esso non si affida al semplice registrare ciò che l’altro dice, ma è solerte cura a trovare tra le pieghe del suo discorso le sue mutevoli espressioni, nel senso che è apertura ai possibili interrogativi che l’altrui “enunciazione” evoca”.
Counseling a orientamento transpersonale Franco Nanetti pag. 21
Ascoltare quindi non è cosa passiva, silente e pigra, ma è piuttosto un porsi generoso, attento, e partecipe nella creazione di un processo attivo ed empatico. Ascoltare attivamente significa partecipare con mente e cuore al processo di disvelamento al quale il cliente si rende coraggiosamente disponibile; significa immaginare se stessi nei panni del prossimo, immergendosi nell’altrui vissuto con l’intera nostra capacità di essere totali.
Perché l’ascolto possa essere autentico, sono necessarie due modalità fondamentali: l’ascolto critico e l’ascolto empatico. Il primo è di tipo analitico ed è volto a cogliere la razionalità e la coerenza del discorso. Il secondo invece si approccia ai contenuti in modo intuitivo, cercando di cogliere le motivazioni, le intenzioni, i punti di vista e la visione della realtà dell’altro, calandosi nei suoi panni. Se l’ascolto critico cerca difetti ed errori, l’ascolto empatico cerca virtù e potenzialità. Sia il primo, così come il secondo, possiedono una propria funzionalità ed è opportuno usarli entrambi, senza tuttavia abusare dell’uno o dell’altro. L’empatia comunque è una delle condizioni essenziali a che la relazione di counseling possa realizzarsi in modo amorevole ed efficace. E’ bene sottolineare che è anche condizione necessaria che il counselor sia in grado di vivere il vissuto condiviso dal cliente senza che la propria insicurezza, la propria paura, o il proprio sospetto, si confondano con i suoi.
“Sentire il mondo più intimo dei valori personali del cliente come se fosse proprio, senza però mai perdere la qualità del “come se”, è empatia”.
La terapia centrata sul cliente Carl Rogers pag. 89
L’empatia richiede impegno, un forte desiderio di comprendere e una precisa attenzione volta a evitare un processo di identificazione adesiva alle emozioni del cliente. È fondamentale nel counseling che uno dei due sia fuori dalla problematica, nessuno è in grado di aiutare qualcun altro a uscire da una fossa profonda, se la abita a sua volta.
Altri elementi che concorrono alla costruzione di un buon professionista, sono il suo autosviluppo e la relativa capacità di autoconsapevolezza. Una profonda comprensione di se stessi è necessaria a chiunque desideri lavorare con i clienti nel counseling. Se infatti i futuri counselor non saranno in grado di “guardare da vicino i propri sentimenti, essi non saranno in grado di comprendere la vasta gamma di emozioni provate dai loro clienti e potranno perfino confondere i loro sentimenti personali con quelli dei clienti.“
Abilità di counseling Margaret Hough pag. 19
Tutti abbiamo un lato oscuro e pregiudizi, per un counselor è fondamentale identificarli e divenirne consapevole, per poterli osservare e quindi trasformare. Il lavoro su di sé non termina mai, diventa fondamentale quindi coltivare l’intento di osservare la propria oscurità, poiché è questa l’unica via che consente di portare in quel buio chiarezza, ovvero chiarore e quindi luce, una luce figlia del puro atto di osservare ciò che c’è. Un atto alchemico quello dell’osservazione della propria oscurità, poiché trasmuta il piombo in oro, trasformando l’ignoranza in consapevolezza.
Diceva Jung: “Non ci si illumina facendo pensieri luminosi, ma osservando la nostra oscurità”.
Carl Rogers identificava tre condizioni chiave per la relazione di counseling: l’empatia, il rispetto e la congruenza. Della prima è già stata fatta menzione e abbiamo visto che è la caratteristica necessaria affinché una persona diventi capace di comprenderne un’altra, riuscendo a vivere il suo vissuto come se fosse il proprio. La seconda è imprescindibile anch’essa, come potrebbe darsi infatti una relazione autentica senza rispetto per i clienti?!
Rogers usava l’espressione “considerazione positiva incondizionata”, una valorizzazione non giudicante del vissuto altrui, sostenuta da uno sguardo gentile, amorevole e fiducioso. Tutto questo è possibile SOLO SE il counselor è in grado di provare accettazione attiva e incondizionata prima di tutto verso se stesso, verso i propri difetti, limiti, e debolezze, esprimendo un’accoglienza disponibile e autentica nei confronti della propria umana condizione, caratteristica questa imprescindibile perché possa esistere una vera accettazione degli altri.
Sentire, vedere, toccare l’altezza e l’abisso è conditio sine qua non.
”Nessun albero può salire fino in Paradiso, se le sue radici non scendono fino all’Inferno” così Carl Gustav Jung.
La terza condizione rogersiana, quella della congruenza, indica l’abilità del counselor di riuscire a essere veramente genuino, aperto e chiaro nella comunicazione verbale e non verbale nei confronti del cliente. La componente dell’onestà, dell’accoglienza vera, sentita di ciò che siamo, è una caratteristica molto importante per un counselor, poiché solo la congruenza, la profonda aderenza alla verità di come si è, permette relazioni interpersonali davvero autentiche. La congruenza è fondamentale anche per l’autoconsapevolezza e la crescita personale del professionista e di ogni essere umano poiché, paradossalmente, “noi non possiamo cambiare, non possiamo allontanarci da ciò che siamo, finché non accettiamo fino in fondo ciò che siamo”.
La terapia centrata sul cliente Carl Rogers pag. 35
L’interazione che ha luogo durante una relazione di counseling, pur avvalendosi di abilità relazionali comuni quali quelle messe in campo nelle relazioni amicali, da esse differisce nettamente per la qualità e la profondità dello scambio. L’interazione nel counseling non è mai superficiale e, soprattutto, l’apporto del counselor è sempre volto a “fornire un aiuto al cliente, e non si aspetta né ha bisogno di una reciprocità negli scambi che avvengono tra loro”.
Abilità di counseling Margaret Hough pagina 37
Perché la relazione di counseling possa essere efficace, il professionista in questione è tenuto a conoscere le modalità attraverso le quali la comunicazione accade.
Un buon counselor dovrebbe conoscere i tre assiomi della pragmatica della comunicazione umana:
1) Non si può non comunicare.
2) Tutto è comunicazione (tutto nella relazione diventa messaggio).
3) La qualità della relazione influenza la percezione del contenuto.
Curare le relazione, prendersi cura della relazione, diviene quindi il segreto per comunicare bene.
La relazione può crescere anche grazie alla corretta conoscenza di quali siano i canali attraverso i quali accade. Tre sono le componenti che permettono la comunicazione: la componente verbale, le parole dette; la componente non verbale, i silenzi e la gestualità del corpo; e infine quella para verbale, la voce, il tono, il volume, l’intensità, il ritmo, tutte componenti queste ultime che rivelano l’emozione sottostante.
È molto importante sapere che, come rivela la PNL, il verbale influenza la percezione del messaggio per il 7%; che la percentuale sale al 61% col non verbale; e che infine il para verbale influenza la comprensione del messaggio per il rimanente 32%.
Il verbale viene codificato e decodificato a livello logico-razionale, il non verbale influenza l’inconscio, il para verbale influenza invece il subconscio. L’insieme di queste tre componenti compongono il messaggio finale.
Ogni comunicazione possiede quindi una componente logica (contenuto verbale) e una analogica (la relazione). La relazione c’è sempre e costituisce il contenitore della comunicazione, ecco perché la qualità della relazione influenza la percezione del contenuto ed ecco quindi perché il prendersi cura della relazione diviene il segreto per comunicare bene.
Nella relazione di counseling il silenzio del cliente è un elemento particolarmente significativo della comunicazione, poiché è proprio in questo momento che la mente e il cuore si aprono alla creazione di importanti associazioni di idee. Il riflettere silenzioso permette il raggiungimento di comprensioni che facilitano il compiersi di quel cessare il giudizio negativo su ciò che è stato, che è l’integrazione, un movimento interiore creatore di senso e di gratitudine nei confronti di esperienze giudicate spiacevoli, il cui dono durante il disagio era rimasto incompreso. È di cruciale importanza che il counselor sappia rispettare e gestire gli spazi di silenzio, resistendo alla tentazione di interromperlo. Il ritmo da rispettare, sempre, è quello del cliente, mai quello del counselor.
Nel counseling è importante, come detto, imparare a osservare la comunicazione non verbale del cliente, perché i messaggi che ne derivano, possono rivelare sentimenti di fondo che talvolta i clienti non sono stati in grado o hanno avuto paura di esprimere. Così anche la postura può indicare un certo grado di timidezza, paura, sconforto, vulnerabilità o difficoltà ad aprirsi.
Il termine inglese “setting”, indica la costruzione pensata e intelligente dello studio di counseling, un ambiente confortevole che deve dare il senso della privacy. Le sedie rivestono nel setting un particolare rilievo, poiché certe persone tendono a comunicare il loro status sociale, attraverso il modo in cui stanno sedute o in piedi, così il counselor è chiamato ad assicurarsi di disporre i posti a sedere in modo equo; le sedie devono essere quindi della stessa altezza e dello stesso tipo, e collocate a una distanza di circa un metro, le due persone infatti non dovrebbero trovarsi così vicine da sentirsi a disagio. Questo spazio rassicurante, talvolta viene magicamente riempito dall’avvicinarsi scelto dalle due persone in relazione, in una prossemica rivelatrice della segreta danza dei cuori reciprocamente in ascolto della comune essenza.
Come detto la comunicazione coinvolge i livelli logico-razionale, inconscio e subconscio ed è importante che quello che il cliente dice e fa, venga registrato dal counselor non solo inconsciamente, ma anche a livello conscio.
I counselor hanno a disposizione molti modi per far capire al cliente che lo ascoltano e prestano attenzione a ciò che dice. Alcune risposte non verbali come sorridere, fare movimenti con la testa a indicare interesse, mantenere il contatto oculare con partecipe ed elegante equilibrio, assumere una postura attenta e un atteggiamento presente, sono espedienti efficaci e raccomandabili.
Molto utile risulta incoraggiare un cliente a continuare a parlare attraverso appropriati rinforzi verbali quali:
– Sì…
– Si sentiva…
– E così…
– E poi?…
– Ah ah…
La presenza e la comprensione empatica del counselor, permettono al cliente di esplorare se stesso sentendosi libero di farlo, svincolato dalle difese automatiche disattivate dall’accoglienza incondizionata non giudicante. Tale risonanza empatica viene favorita anche attraverso il rispecchiamento corporeo e verbale, abilità queste fondamentali a che il cliente possa sentirsi accettato in riferimento a quanto sta dicendo.
“È importante che il counselor sia sempre consapevole del proprio corpo come mezzo di comunicazione”
Counseling ad orientamento transpersonale Franco Nanetti pagina 32
Come sottolinea Carl Rogers poi, uno degli aspetti fondamentali per una comunicazione empatica, è la riflessione dei sentimenti.
“Il cliente che si rende conto che il suo punto di vista è stato percepito con accuratezza dall’helper si sentirà valorizzato e compreso e, ciò che più conta, si sentirà incoraggiato a esplorare più in profondità tutti gli aspetti della situazione”.
Abilità di counseling Margaret Hough pag. 63
Quando il counselor riesce nell’intento di comunicare con chiarezza la propria volontà di ascoltare e capire, il cliente diviene in grado di parlare apertamente delle proprie difficoltà e dei propri bisogni.
La parafrasi è un aspetto della riflessione e consiste in una riformulazione sintetica e chiarificatrice dei contenuti essenziali della comunicazione del cliente; ha lo scopo di aiutarlo ad ampliare la comprensione cognitiva della problematica esposta, offrendo nel contempo al cliente la consapevolezza di essere stato capito. Compito della riflessione invece è quello di focalizzarsi prevalentemente sui contenuti di tipo emotivo (verbalizzazione).
L’obiettivo della relazione di counseling è quello di rimandare con empatia e comprensione, i contenuti e i sentimenti emersi dallo scambio col cliente.
Un ulteriore abilità interpersonale e quella di riassumere. Quando riassume il counselor offre al cliente l’opportunità di aggiungere dettagli o di enfatizzare certi passaggi, permettendogli di rendersi conto che le sue esperienze e le sue emozioni sono state comprese dal counselor, che le ha sapute riconoscere e valorizzare.
È molto importante ricordare l’ordine degli eventi, la sequenza cronologica della storia, cogliendo il filo del pensiero fino a enuclearne il messaggio.
Un riassunto accurato richiede tre cose:
“ – Una comprensione accurata di quel che è stato detto;
- Una accurata selezione degli elementi e dei temi-chiave;
- L’espressione verbale di tali elementi e temi chiave in modo chiaro, diretto ed empatico”.
Abilità di counseling Margaret Hough pag. 67
E’ molto importante usare il riassunto alla fine della seduta, perché ripercorrere le tappe di quanto accaduto, permette al cliente di consolidare cognitivamente le comprensioni avute.
È bene sottolineare che sia il cliente che il counselor, debbono essere d’accordo nel definire accurato il riassunto ed è compito del counselor chiedere se quello che ha detto durante il riassunto può essere riconosciuto come giusto.
Il repertorio di abilità richiesta a un counselor è quindi veramente vasto e fra le tante una delle più importanti è quella di formulare domande, con lo scopo di incoraggiare il cliente a esplorare i propri problemi senza avere la sensazione di rispondere a un’intervista, evitando così che si senta sotto interrogatorio.
Esistono diversi tipi di domande, alcune sono da evitare, altre risultano essere molto efficaci.
Domande chiuse: questo tipo di domanda comporta una risposta molto specifica, oppure prevede un semplice sì o un semplice no di rimando. Hanno lo svantaggio di non richiedere o sollecitare una elaborazione interiore o una riflessione. Spesso la risposta alle domande chiuse è monosillabica. Dovrebbero essere evitate nel counseling.
Domande aperte: offrono al cliente la possibilità di rispondere con i suoi tempi e di esplorare le proprie problematiche, le proprie preoccupazioni. Buone abilità di ascolto e una buona capacità di formulare domande appropriate sono caratteristiche fondamentali per un buon counselor.
Le domande “Perché?”: spesso è difficile o impossibile rispondere a questo tipo di domande, per questo motivo tendono a mettere il cliente sulla difensiva e possono inoltre farlo sentire inadeguato a causa dell’incapacità di rispondere. Le domande “Perché?” possono inibire la comunicazione invece di aprirla.
Domande affettive: invitano i clienti a esplorare i sentimenti, stimolano la riflessione e il pensiero e invitano a riconoscere e ad affrontare i bisogni affettivi.
Le domande allusive: sono poste in modo da indurre una risposta, spesso la persona può sentirsi obbligata a dirsi d’accordo. Quando la pressione di dichiararsi d’accordo si verifica nella relazione di counseling, il counselor sta imponendo le sue opinioni, i suoi valori, le sue convinzioni al cliente, andando così contro l’etica del counseling. Le domande allusive andrebbero quindi sempre evitate.
Le domande multiple: le domande multiple fanno assumere un atteggiamento difensivo poiché generano l’effetto di far sentire sotto interrogatorio, spesso il cliente risponde in modo vago solo all’ultima delle domande, facendo collassare la comunicazione.
Le domande retoriche: spesso sono un’espressione delle opinioni personali del counselor e raramente sono utili. Capita altresì che siano i clienti a formulare domande retoriche per sollecitare consigli o opinioni da parte del counselor, e quando ciò accade può essere utile invitare il cliente a esplorare con maggiore consapevolezza il significato di quello che ha detto. Tuttavia le domande retoriche del cliente vanno sempre tenute in considerazione perché sono sempre generate dal bisogno di approfondire un determinato tema.
All’inizio di una relazione di counseling, è necessario che il counselor si concentri sull’abilità di ascolto, in modo da evitare che il cliente si senta irritato da eventuali interruzioni.
Infine le domande ipotetiche: sono quelle che mettono i clienti nelle condizioni di ricorrere alle loro abilità immaginative con lo scopo di guardare a un problema o a più problemi da varie prospettive.
Il bisogno di cambiamento, di riorganizzazione personale, si manifesta più volte nel corso della vita ed è spesso figlio di eventi traumatici stressanti. Le persone sono indotte a cambiare quando i modelli di comportamento vecchi sono divenuti così disfunzionali da non essere più sostenibili né giustificabili. Quando si avvia una relazione di counseling, i clienti iniziano un cammino di autoconsapevolezza che li incoraggia a riconsiderare le proprie problematiche, portandoli a divenire autori di un processo che consente loro di individuare nuovi modi per affrontare diversamente i problemi personali. Si tratta di una vera e propria sfida, perché scegliere di affrontare in modo nuovo la vita, comporta un cambiamento così profondo da apparire spaventoso per la maggior parte delle persone. Cambiare significa assumere dei rischi, significa affrontare l’ignoto, e tutto ciò che è sconosciuto viene percepito dai più come una minaccia. Spesso le persone preferiscono rimanere bloccate all’interno di schemi spiacevoli e insoddisfacenti o perfino scioccanti, pur di non affrontare la tremenda imprevedibilità del cambiamento. Tuttavia l’uomo in evoluzione sa che per espandere la consapevolezza di sé, è necessario passare attraverso le proprie emozioni negate, per poterle consapevolizzare, creando così la possibilità di integrarle. Integrazione è far cessare il giudizio negativo sugli eventi occorsici nel corso della nostra esistenza terrena, un atto di gratitudine verso ciò che è stato, che può accadere solo quando comprendiamo il dono nascosto fra le pieghe degli eventi.
Le emozioni sono il linguaggio usato dal Maestro del cuore, una sorta di bussola sempre in grado di dirci, se sappiamo ascoltare, di che cosa abbiamo bisogno e dove siamo diretti. Per questo diventare consapevoli delle nostre emozioni coltivando l’abilità di riconoscerle ed esprimerle, ci consente di recuperare il mondo delle nostre necessità. Astenersi in modo coattivo e protratto dall’esprimere i nostri sentimenti e bisogni, porta il nostro corpo e le nostre relazioni ad ammalarsi. Cambiare comporta il pagamento di un prezzo alto, tuttavia anche NON cambiare costa molto e anzi, il prezzo da pagare è molto più alto!
“La via spirituale non sta nella ricerca del piacere, ma nell’intenzione di approssimarsi alla verità, anche al prezzo della sofferenza e della paura”.
Counseling ad orientamento transpersonale Franco Nanetti pag. 39
Carl Gustav Jung sottolineava che: “Nessun albero può salire fino in Paradiso se le sue radici non scendono fino all’Inferno”.
Ci vuole disponibilità, disponibilità e coraggio, e fiducia che tutto accada PER noi e non A noi.
L’Esistenza ci fa evolvere sempre e comunque, ci trasforma e si trasforma alchemicamente per mezzo nostro, liberi noi, sempre, di scegliere se crescere attraverso la fatica, alchimia inferior, o attraverso l’impegno, alchimia superior.
Il cambiamento dunque è la via e, che lo si voglia o no, accade.
La vita incede come un fiume e vano è il tentativo di fermare il suo corso, inutile come tentare di fermare un’onda tirandole dei sassi, uno spreco di energia. Eppure accade, nell’inconsapevolezza è proprio ciò che accade. Così le persone cercano di proteggersi dalle emozioni spiacevoli utilizzando inconsciamente dei meccanismi di difesa.
Per cambiare dobbiamo diventare degli artisti, per farlo possiamo imparare a camminare sul filo teso con disponibilità a cadere, interpretando l’errore non come un fallimento insopportabile che magari conferma un preciso senso di inadeguatezza, ma come un feedback necessario e sacro, senza il quale non si può imparare la maestria. Solo uscendo dagli schemi, solo liberandosi dalla sclerotizzata stereotipia dei comportamenti usuali e abitudinari, si può entrare in contatto con il potere, con la forza, con la creatività, abitando finalmente la verità personale, sentendo, vedendo, e toccando infine la verità essenziale, che è di Me che si nutre.
“Chi sperimenta l’inusuale è nella via di un autentico percorso di cambiamento”
Counseling ad orientamento transpersonale Franco Nanetti pag. 95
Essere autentici è essere se stessi ed essere se stessi significa rinunciare, per scelta, alla maschera che si indossa per proteggersi; si tratta di un processo di liberazione scelta che tuttavia, come detto, accade grazie a errori, inciampi e resistenze al cambiamento, che sono alla base di reazioni comportamentali inconsce chiamate meccanismi di difesa dell’io.
Tra i più comuni: l’umorismo, la negazione, l’intellettualizzazione, la razionalizzazione, l’introiezione e la proiezione.
L’umorismo: è un metodo molto efficace utilizzato dalle persone per distogliere l’attenzione da emozioni o eventi dolorosi che non vogliono inconsciamente affrontare. Alcuni individui usano l’umorismo come una sorta di scudo che consente loro di proteggersi quando avvertono che una interazione sta diventando troppo personale, intima ed emotiva. Compito del counselor è portare il cliente a entrare in contatto con la discrepanza tra il sentimento di fondo negato e l’anestesia emozionale garantita dalla battuta umoristica.
L’intellettualizzazione: parlare dei problemi in termini freddi e astratti è un modo efficace di prendere le distanze da emozioni e sentimenti dolorosi. Le persone che utilizzano questo meccanismo sono spesso convinte che provare emozioni sia fonte di imbarazzo.
L’introiezione: consiste nel processo di assorbimento delle opinioni, delle credenze, degli standard, degli atteggiamenti, dei comportamenti e dei valori altrui. Può diventare un meccanismo di difesa quando viene usata per deresponsabilizzare se stessi.
La proiezione: consiste nella pratica di attribuire le proprie caratteristiche negative o i propri fallimenti agli altri. Proiettare le proprie mancanze sul prossimo ha l’effetto di scollare le persone da se stesse e dai propri sentimenti, con la conseguenza che i problemi personali tendono a non trovare soluzione.
È molto importante avere già stabilito una relazione di fiducia col cliente, prima di metterlo in discussione con se stesso, aiutandolo a fare emergere la consapevolezza di tale meccanismo; l’ideale sarebbe che la messa in discussione venisse partorita da un insight da parte del cliente stesso.
La negazione: le persone che utilizzano questo meccanismo, sono solite evitare di entrare in contatto con ciò che provoca loro dolore, semplicemente negando che esistano gli aspetti sgradevoli o minacciosi della realtà. L’uso abituale della negazione porta all’evitamento di intere aree di esperienza personale. La negazione è tipica del lutto e quando si protrae nel tempo venendo reiterata, è fonte di forte disagio poiché inibisce la possibilità di riprendersi dalla perdita di una persona cara.
La razionalizzazione: è il processo che permette di giustificare cognitivamente aspetti di sé altrimenti inaccettabili. Se usata in modo abituale e prolungato può generare un’autoinganno cronico; compito del counselor è quello di sollecitare l’individuo che se ne avvale a prendere coscienza dei fatti in modo più realistico.
La self disclosure o autorivelazione da parte del counselor, può avere una grande efficacia in special modo con i clienti affetti da dipendenza quali ex alcolisti ed ex tossicodipendenti; anche altre aree di dipendenza quali il tabagismo, il gioco d’azzardo, la promiscuità sessuale, lo shopping compulsivo, l’iperattività fisica o l’eccessiva assunzione di cibo, traggono particolare giovamento da questo modello di sostegno. L’autorivelazione può essere davvero opportuna e utile quando le problematiche vissute dal cliente sono simili a quelle incontrate dal counselor nella propria esperienza personale. Va sottolineato l’importanza di usare questo espediente granu salis, con intelligenza e sensibilità, onde evitare un possibile scambio di ruoli in grado di produrre un indesiderato spostamento dell’attenzione dal cliente al counselor, senza che si verifichi come contropartita un utile scambio di informazioni a favore del primo. Quando altresì l’autorivelazione viene condotta in modo equilibrato e controllato, è in grado di creare un profondo contatto umano tra cliente e counselor e come abbiamo visto in precedenza, è la qualità della relazione stabilita che rende possibile una comunicazione davvero efficace e autentica. In sintesi esistono concreti vantaggi ma anche molti rischi legati a questo approccio e vale anche la pena di ricordare che, mentre il counselor è tenuto a rispettare il segreto professionale, la stessa cosa non vale per il cliente.
Anche se nella relazione di counseling uno degli obiettivi principali consiste nella promozione dell’indipendenza e dell’autonomia del cliente, molte persone necessitano tuttavia di un aiuto nella programmazione di strategie e nella pianificazione di azioni volte a raggiungere le mete prefissate. L’attenzione del counselor va quindi orientata sulla capacità del cliente di credere in se stesso e sulla fiducia di poter attingere alle proprie risorse personali.
Molte persone cercano aiuto quando la loro autostima è fortemente diminuita, accrescere un senso positivo del sé e di conseguenza la forza personale del cliente, è una delle funzioni più importanti del counseling.
A commento del verso due del capitolo secondo della Bhagavad Gita, Maharishi Mahesh Yogi così si esprime: “I problemi non vanno risolti al livello dei problemi. Analizzare un problema per trovarne la soluzione è come sforzarsi di ridare freschezza a una foglia, trattando direttamente la foglia stessa, mentre la soluzione sta nell’innaffiare la radice.”
Bhagavad Gita nuova traduzione e commento capitoli 1-6 Maharishi Mahesh Yogi pagina 72
Tutti i problemi della vita sorgono da qualche debolezza della mente, col sopraggiungere della forza sollevare metaforicamente 40 kg con un braccio solo diventa possibile, laddove in uno stato di debolezza la cosa pareva essere inaffrontabile. Il peso dei 40 kg rimane invariato ma, tu sei diventato più forte. Fuor di metafora i “problemi” restano sempre uguali a se stessi, ma la gestione degli stessi da parte del cliente diventa possibile grazie allo sviluppo della consapevolezza personale e all’incremento della forza e della fiducia nei propri mezzi.
Il focus della pratica del counseling è l’assunzione responsabile di obiettivi che devono essere negoziati, concreti e raggiungibili. Compito del counselor è quello di “incoraggiare i clienti a riflettere attentamente prima di intraprendere qualsiasi azione, di sostenerli dopo che abbiano fatto le loro scelte, di monitorare e aiutare i clienti a valutare ogni progresso o miglioramento ottenuto”.
Abilità di counseling Margaret Hough pag. 140
Una tecnica molto semplice ma davvero efficace suggerita dalla Hough è quella del cosa voglio, come posso ottenerlo, e perché voglio ottenerlo; può sembrare semplicistica, ma aiuta concretamente i clienti a esaminare i loro obiettivi, ad adottare le contromisure necessarie per realizzarli e a consolidare le motivazioni, motore primo dell’autorealizzazione.
Michelle J. Noel nel suo “Essere autore della propria vita”, sintetizza come divenire autore della propria vita in sei punti:
1) Scrivete ciò che volete in modo preciso (visivo esterno).
2) Ditelo a voce alta (auditivo esterno) e argomentate.
3) Divertitevi a provare ciò che provereste se già lo aveste (create l’emozione).
4) Fate PREM.
PRECISO: so cosa voglio, sono capace di definirlo, di visualizzarlo.
REALISTA: so concretamente come fare.
RESPONSABILE: sono io a volerlo, io a decidere.
ECOLOGICO: sono completamente d’accordo con questo (tutte le parti di me sono d’accordo).
MISURABILE: mi impongo una scadenza realistica. Entro un anno esatto, entro sei mesi esatti, entro tot settimane esatte, avrò questo e farò quest’altro.
5) Cliccate (guardate) in alto a destra per i destrimani, in alto a sinistra per i mancini. Affidate il progetto o il desiderio al cervello inconscio dicendo: “Voglio assolutamente questo (fate l’immagine è creata l’emozione), come faccio? Grazie”. (Siate gentili con il vostro cervello inconscio).
6) Appena avrete affidato il progetto al vostro cervello inconscio, considerate che è fatto e aspettate. Comportatevi e agite di conseguenza, dite SI’ alla vita. Il resto verrà da solo.
È la convinzione al 100%, la certezza assoluta che il vostro cervello inconscio fa ciò che deve fare. Mollato la presa, lasciate fare, il vostro cervello farà il resto. Non avete bisogno, consciamente, di sapere come si farà, si farà da solo”.
“Essere autore della propria vita” Michelle J. Noel pag. 165
Va ricordato che l’obiettivo di cambiamento va sempre formulato in termini affermativi, enunciando l’intento con termini positivi. Non serve dire che cosa non si vuole più, mentre serve ed è utile affermare positivamente che cosa si vuole ottenere. Per esempio è da evitare l’affermazione “Non voglio più essere grasso”, mentre è opportuno dire “Voglio stare bene, voglio essere nella mia forma ideale”.
“La scelta autentica è un sì per qualcosa, è una profonda decisione del soggetto di vivere, di essere sano, di rispettarsi e di amarsi”.
Counseling ad orientamento transpersonale Franco Nanetti pag. 98
L’inconscio non computa il negativo, quello che abitiamo è l’Universo dell’inclusione, il rifiuto non è contemplato, la nostra rappresentazione interna inconscia, non può essere espressa attraverso il negativo. Il dichiarare “Non voglio più avere difficoltà economiche” rappresenta lo stato presente che voglio cambiare, ma non rappresenta lo stato finale che intendo raggiungere, ossia “il disporre di sicurezza e benessere economico”. Inoltre l’essere umano equivale a un potente magnete che attira inesorabilmente ciò che vuole, e ciò che non vuole.
“Un obiettivo espresso in termini negativi per contrastare qualcosa di indesiderato porta la persona verso ciò che teme e non verso ciò che vuole”
Counseling ad orientamento transpersonale Franco Nanetti pag. 99
“Occorre invece che il cambiamento desiderato sia espresso in modo chiaro e sia visibile a chiunque venga dichiarato.
Quando l’obiettivo di cambiamento non è concreto, osservabile, realizzabile, spesso indica che il cliente vuole rimanere all’interno della sua gabbia narcisistica, vuole continuare a soffrire piuttosto che rinunciare alle sue illusioni e all’idea di doversi affrancare dagli aspetti grandiosi e onnipotenti di se stesso.
“Quando scoprirò tutto di me…”, “quando avrò una persona che mi comprenderà in ogni momento…”, “quando avrò un lavoro stabile…”, “quando sarò ricco…”, “quando il mio partner mi amerà, allora sarò FELICE”. Chi affida la propria felicità a cambiamenti illusori, nella convinzione magica che ogni problema si risolverà cambiando pagina, oppure aspettando il cambiamento degli altri, sta di fatto alimentando la propria sofferenza”.
Counseling ad orientamento transpersonale Franco Nanetti pag. 100
In conclusione le abilità che un counselor è chiamato ad assommare in sé sono davvero molte, così come molte sono le tecniche a disposizione ed è importante conoscerle e applicarle, ma ciò che fa davvero la differenza è la presenza, quello spazio fatto di empatia e di partecipazione che si è in grado di generare quando siamo consapevoli del nostro corpo, di quello che stiamo provando e di come percepiamo l’altro.
Nello stato di presenza siamo in grado disidentificarci dalla mente limbica, divenendo quindi liberi e creativi. L’accoglienza di sé, dei propri frammenti vivi e attivi, crea lo spazio di unità interiore necessario affinché possa accadere un’autentica accoglienza dell’Anima incarnata che ci ha scelto per compiere un comune cammino di crescita.
Se vogliamo davvero aiutare un altro essere umano la prima persona che va accolta siamo noi stessi, poiché solo quando riusciamo a sviluppare una attitudine continuativa e stabile di amorevole gentilezza e di compassione nei confronti della nostra personale e umana condizione, solo allora possiamo ri-conoscere nell’altro un fratello, una parte viva di noi che ci viene a trovare per mostrarci qualcosa di noi stessi.
Così come insegna “Un Corso in Miracoli per terapeuti” la relazione è santa, quando guarisco io, anche tu, quando guarisci tu, anch’io.
Solo portando nel profondo della mente e del cuore la comprensione essenziale che si guarisce sempre e soltanto dall’illusione di essere malati, diviene autenticamente possibile comprendere e fare esperienza che ciò che credo di essere è diverso, sempre, da Ciò Che Sono.